A cura di Alberto Figliolia
Un velo separa vita e sogno. Un tenue e trasparente sipario. E se la vita fosse il sogno di un lungo sonno prima del risveglio? E ridestarsi dove? E perché? E se il sonno fosse una malattia? Come l’amore? Quale il rimedio? Dove e come la salvezza?
Liberamente tratto da La casa del sonno di Jonathan Coe Notturno, in scena sino al 18 gennaio al Teatro Filodrammatici, è un’opera dark, frammentaria, poetica, affascinante, inquietante, una sorta di agitatissima narcolessia, un incantato ossimoro, un’indagine raffinata e disperata dell’attrazione erotica “slegata dall’attrazione di genere”. Una rappresentazione davvero spiazzante, non facile ma carica di stimoli, suggestioni e domande, e capace di suscitare forti reazioni emotive nella platea.
“Sulla scena si muovono due adulti e il loro amore. Tra loro la disperazione di non essere stati in gioventù all’altezza del sentimento che provavano, con la consapevolezza di non essersi opposti al ricatto delle dinamiche di genere della società. Motore dell’azione e del conflitto è un terzo personaggio, marginale nel romanzo di Coe ma determinante per l’adattamento alla scena: uno psicanalista lacaniano. Da lui, nella spettrale clinica chiamata Casa del Sonno e specializzata nel trattamento delle dissonnie (ovvero, i disturbi del sonno), uno dei due protagonisti è in cura…”, non è il caso di guastare al pubblico la lenta scoperta. Dolore, amore e nevrosi si combinano nel panorama delle impossibilità che travagliano il nostro girovagare nel mondo alla ricerca di un senso. Una storia dolorosa, elettrica, illusiva, angosciante e, ciò nonostante, con impensabili margini di tenerezza.
“Come nel romanzo, la drammaturgia è costruita come un flipper narrativo. La relazione tra i due si muove tra futuro e passato, tra visioni e ricordi, in un conflitto latente che tinge la storia di giallo e porta lo spettatore a investigare, partecipando con la mente e con il cuore, per capire cosa sia successo ai protagonisti e al loro amore. La regia amplifica e provoca l’immersione dello spettatore nella storia; e lo fa con tutti gli strumenti che le sono concessi dal gioco teatrale, dal testo alle luci di sala. Il palcoscenico è pensato come una graphic novel in movimento e ruba momenti e suggestioni al cinema. L’estetica si ispira allo steampunk, la cui sintesi è racchiusa nel motto: come sarebbe stato bello il passato se ci fosse già stato il futuro”. In effetti l’impianto scenografico e gli arredi di scena accrescono il pathos: gabbie che s’aprono misteriose, con sedili pronti quasi a fagocitare corpo e coscienza; luci pulsanti e irregolari come un cuore straziato; teloni dipinti, sovrapposizioni d’immagini e calendari a ritroso; voci fuori campo e brani/brandelli di canzoncine infantili stridenti – le parvenze di un incubo ben organizzato…; il volto fuori campo che analizza e diagnostica. Va in scena l’incontro/scontro fra la pallida ragione e lo scaltro universo dell’irrazionale. Ci sarà spazio e tempo, nella confusione che impera nei cuori e nelle menti, per una soluzione? L’anelito permane e consola.
Superlativa l’interpretazione di Alice Redini, Irene Serini e Filippo Renda (impegnato anche nella regia). Alla replica del 17 gennaio sarà presente lo stesso Jonathan Coe per rispondere alle domande del pubblico.
Alberto Figliolia
Notturno. Sino al 18 gennaio. Teatro Filodrammatici, via Filodrammatici 1, Milano.
Orari spettacoli: mer e ven ore 19,30; gio e sab ore 21, dom ore 16.
Info e prenotazioni: tel. 02.36727550; e-mail biglietteria@teatrofilodrammatici.eu; sito Internet www.teatrofilodrammatici.eu.