Jurij Druznikov – Il primo giorno del resto della mia vita


A cura di Giuseppe Iannozzi

Il capolavoro del geniale autore russo
Con l’ascesa di Stalin il territorio russo ha cambiato definitivamente il suo volto, sia quello del passato legato agli zar sia quello futuro. Stalin fu il male dell’Unione Sovietica, il canchero più duro, che ancor oggi resiste nonostante il processo di destalinizzazione sia in atto da più di mezzo secolo. A partire dal 1928 la storia della Russia l’ha fatta l’uomo d’acciaio, così era difatti soprannominato Josif Vissarionovič Džugašvili. Altro soprannome era Koba, ovvero l’indomabile. C’è del vero in questi soprannomi: mai prima di Stalin uomo mortale era riuscito a ridurre un paese sterminato come la Russia ai propri piedi. Stalin non è solo il Capo della Russia, è soprattutto il Capo del Partito Comunista, di un partito riveduto e corretto secondo la volontà d’un singolo uomo. Il Comunismo diventa presto stalinismo, quello mirabilmente ritratto nel romanzo-denuncia di George Orwell, “La fattoria degli animali”. Orwell ci spiega per mezzo della fattoria che “tutto il potere corrompe, e il potere assoluto corrompe in modo assoluto”, ne consegue che lo stalinismo è in sostanza la dichiarazione che tutti sono uguali ma solo alcuni eletti sono più eguali di tutti gli altri. Nella fattoria orwelliana si legge difatti:“Tutti gli animali sono uguali. (ma alcuni sono più uguali degli altri)”. La critica che George Orwell porta all’URSS è fortissima, così tanto da incontrare l’ostilità degli ambienti di sinistra dello stesso Regno Unito. Gli editori accusano lo scrittore perché “avrebbe offeso molta gente, soprattutto per il fatto d’aver scelto come classe dominante i maiali”. Ciò nonostante il libro esce e nell’arco degli anni acquista sempre più consensi, così tanti da diventare in breve tempo un classico.

Stalin, subito dopo l’assassinio di S. Kirov, dà inizio negli anni Trenta a quelle che la storia tragicamente ricorda come le “purghe”: è la condanna a morte o la prigione per la vecchia guardia bolscevica, da Kamenev a Zinov’ev a Radek a Sokolnikov a J. Pjatakov; da Bucharin e Rykov a G. Jagoda e a M. Tuchacevskij. In totale 35.000 ufficiali su 144.000 che componevano l’Armata Rossa.

La lista degli assassini perpetrati in nome dall’indomabile è purtroppo lunga: stando alle stime del KGB, rese ufficiali dopo la caduta dell’URSS, 681.692 persone vennero condannate a morte tra il ’37 e il ‘38, a cui vanno aggiunte altre 1.118 condanne relative al ‘36 e ancora 2.552 nel ’39, tutte condanne per reati politici. Tra il 1930 e il 1953 le condanne eseguite per i soli presunti reati politici ammonterebbero a 786.098. Ma è un dato che non ci restituisce la verità piena e totale: difatti è quasi certo che le condanne eseguite furono assai di più.
Il 23 agosto del ’39 Stalin affida la pace e l’espansione dell’URSS al Patto Molotov-Ribbentrop. Stalin cerca la pace per l’URSS? o cerca invece, in extremis, di uscire dall’isolamento in cui il paese si è venuto a trovare dopo la Conferenza di Monaco del settembre 1938 e a cui l’Unione Sovietica non è stata invitata? Forse sono valide entrambe le ipotesi.
La Terza Internazionale è sotto il pugno d’acciaio di Stalin. La guerra alla Germania nel 41-45 mette in ginocchio l’URSS: l’avanzata nazista viene bloccata, ma le perdite nell’esercito russo, decimato dalle purghe staliniste, sono incalcolabili, si parla di milioni di morti. Dopo l’assedio di Leningrado e la battaglia di Stalingrado, l’URSS versa in condizioni pietose.
Il dopoguerra per l’URSS fu davvero breve, si andò difatti subito incontro alla “guerra fredda”. Stalin dà corso a un monolitismo fuori e dentro i confini dell’Unione Sovietica portando di fatto il Partito Comunista a essere espressione del più bieco totalitarismo. Ecco nascere dunque il Cominform (Communist Information Bureau): scopo precipuo dell’Ufficio di Informazione dei Partiti Comunisti e Laburisti, costituito a Szklarska Poreba nel Settembre del ‘47 , è quello d’un reciproco scambio di informazioni tra i partiti comunisti presenti in Europa. Nella notte tra l’1 e il 2 marzo del ’53 Stalin accusa un forte colpo apoplettico. Il dittatore muore il 5 marzo. Il corpo viene imbalsamato e vestito con l’uniforme staliniana e poi esposto in pubblico nella Sala Delle Colonne del Cremlino (dove era già stato esposto Lenin). Almeno un centinaio di persone muoiono schiacciate nel tentativo di rendergli omaggio. In prima battuta, Stalin fu sepolto accanto a Lenin nel mausoleo sulla Piazza Rossa.
Al XX Congresso del PCUS (1956), Nikita Khruščёv, finalmente, evidenzia i crimini ordinati da Stalin: inizia il processo di destalinizzazione, rimuovendo la salma di Stalin diventata troppo ingombrante vicina com’è a quella di Lenin.

Jurij Družnikov ha fatto scalpore soprattutto per un libro, “Angeli sulla punta di uno spillo”. In questo romanzo ci troviamo immersi in una grottesca quanto surreale Mosca sul finire degli anni ’60. Makarcev, caporedattore della Pravda, ha un infarto, e guarda caso proprio quand’era appena uscito dalla sede del Comitato centrale del Partito Comunista. Makarcev è un uomo in perenne ansia, non potrebbe essere altrimenti: deve darsi ogni giorno l’aria di un comunista integerrimo, ma non intende per questo rinunciare al suo status. Nikita Khruščёv è finito. E’ un altro momento storico, anche per Makarcev: sulla sua scrivania, dal nulla praticamente, fa la comparsa un manoscritto sovversivo. Il manoscritto potrebbe portarlo direttamente alla tomba, Makarcev lo sa bene: l’infarto l’ha portato sull’orlo dell’Inferno, ma l’uomo sa che non c’è inferno peggiore di quello in Terra. A malincuore decide che c’è un solo uomo che può aiutarlo, il cinico Yakov Rappoport, un anziano ebreo veterano della IIa Guerra Mondiale, uno che è riuscito a sopravvivere ai gulag. In un’atmosfera spessa di ombre pronte a fare gli stivali a chiunque ficchi il naso per sfortuna o solo per sbaglio in affari che non gli competono, Družnikov in questo “Angeli sulla punta di uno spillo” ci mette di fronte all’essenza stessa del regime, che uccide e uccide senza pensarci su nemmeno una volta. Ma com’è che si è arrivati fino a questo punto? La risposta è nell’ultimo romanzo di Jurij Družnikov,

“Il primo giorno del resto della mia vita”, opera che ha appena fatto in tempo a uscire in anteprima mondiale in Italia (per stessa volontà dell’Autore), perché, ahinoi, Družnikov ci lascia improvvisamente all’età di 75 anni in seguito alle complicazione d’una brutta broncopolmonite. Diceva Aleksandr Isaevič Solženicyn – anch’esso scomparso nel 2008, all’età di 94 anni – a proposito di “Angeli sulla punta di uno spillo”: “Un libro fondamentale. E’ in questo modo che, gradualmente, tutte le bugie dell’Unione Sovietica verranno finalmente a galla”.
Družnikov
in “Il primo giorno del resto della mia vita” ci racconta un altro buio e sanguinario capitolo della vita di Stalin, disegnando con tinte ora grottesche ora sarcastiche un uomo forte, di acciaio ma anche pericolosamente debole, succube dei simboli e dell’emulazione a tutti i costi. Stalin ne esce disfatto, ridimensionato, impotente e patetico, forte solo della sua tirannia. Era nei piani di Stalin, dopo la fine della IIa Guerra Mondiale di dare l’avvio a una campagna per conquistare l’Europa; un piano folle che per avere una minima speranza di riuscita deve trovare l’appoggio dei paesi arabi. Ma poteva il povero Stalin immaginare che i suoi uomini, proprio gli uomini e le donne in cui aveva riposto tutta la sua fiducia, lo tradissero? Forse. Fatto sta che in meno d’un niente si trova nei guai e molto grossi per di più, una situazione che non gli piace affatto, non a lui abituato a dare ordini e a vederli eseguiti alla perfezione. La Stella del Generalissimo è al centro di questa nuova pirotecnica avventura che dagli immediati anni del dopoguerra tocca i nostri giorni, immersi in uno caos indomabile, pronto a collassare da un momento all’altro. Stalin voleva la “sua” decorazione, una che non passasse inosservata; e presto detto la Stella del Generalissimo fu forgiata per l’uomo d’acciaio. Nel tentativo di consolidare i rapporti con il Medio Oriente, Stalin la dà in dono al Sultano arabo. Ma la Stella del Generalissimo si perde. Gli uomini e le donne inviati in Medio Oriente in qualità di spie falliscono, o meglio tradiscono. Stalin va su tutte le furie. Ma se la Stella del Generalissimo scompare insieme alle spie che hanno tradito senza lasciar di sé traccia, ai giorni nostri ricompare: c’è solo un piccolo particolare, nessuno sa dove essa sia. O chi ce l’abbia. Eppure tutti la cercano, privati e mafia russa e generali dell’ex KGB.

“Il primo giorno del resto della mia vita” è il naturale completamento di quelle vicende che sono in “Angeli sulla punta di uno spillo”: due capitoli d’una stessa storia, che però si possono leggere l’uno in maniera indipendente dall’altra. Il romanzo esce in Italia in anteprima mondiale per i tipi Barbera, proprio come ha voluto l’autore Jurij Družnikov a un pelo dal premio Nobel per la Letteratura. La sua morte improvvisa ci ha privati d’un grande talento narrativo, d’un intellettuale di importanza mondiale la cui statura è quella d’un moderno Dostoevskij.
In un mondo incerto come il nostro, dove il presente è sempre a un passo dall’esplodere in maniera tragica, plagiati come siamo da romanzetti incapaci di portare ai posteri il disegno di questo tempo storico, “Il primo giorno del resto della mia vita” di Jurij Družnikov è un libro essenziale, necessario quanto “I demoni” di F. Dostoevskij, di “Arcipelago gulag” di A.I. Solženicyn, di “1984” di George Orwell. L’ultimo lavoro di Jurij Družnikov è già un classico della grande Letteratura mondiale. L’unico peccato mortale è non leggerlo.

Giuseppe Iannozzi

Titolo: Il primo giorno del resto della mia vita
Autore: Jurij Druznikov
Traduttori: Orlati F., Taddei A.
Editore: Barbera
Prezzo: € 11.90
Collana: No limit
Data di Pubblicazione: 2008
ISBN: 8878993611
ISBN-13: 9788878993617
Pagine: 430
Reparto: Narrativa

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