Giuseppe Braga – Ma tu lo conosci Joyce?


A cura di Giuseppe Iannozzi

Giuseppe Braga, ma tu lo conosci Joyce?
No, ma vorrei conoscere la Lecciso
“Scrivere non può essere considerato un hobby e chiunque ha praticato sa. Non può venire paragonato ad un corso di tennis o di nuoto. O magari di chitarra, quattro note e via. Quando si parla di scrittura creativa c’è ben poco da ridere. A partire dagli organizzatori. Quanti sono coloro che desiderano abbracciare il mestiere dello scrittore? Dove si trovano? Come fare per individuarli? […] Le strade ne sono popolate, le metropolitane zeppe. Sei sul vagone e vai al lavoro e sai che di fianco ai tanti altri aspiranti scrittori e tu vorresti farli fuori”. Speriamo che Giuseppe Braga a tutti questi poveracci gli abbia lasciato almeno una mancia per un caffè, altrimenti la vedo dura per questi cristi.
In Italia ci sono più scrittori che lettori. Non è una novità. Ma pochissimi arrivano a pubblicare: gli altri formano il mare magnum degli aspiranti autori. E degli attori. E dei calciatori. E delle veline. E poi: delle ex puttane, delle ex giornaliste e non da ultimo delle ex lolite. Anche questa non è una novità. Tutti scrivono, anche Francesco Totti e Silvio Muccino: e pubblicano. C’è qualcosa di assolutamente malato in un paese dove tutti sono (aspiranti) scrittori che non pubblicano. Eppure qualcuno arriva a pubblicare da subito, iniziando la gara dallo Start senza aver fatto alcun giro di pista per classificarsi in pole position. Dicevamo: chi? Noi? Quale noi? Non importa. Dicevamo che in questo paese ci sono tanti che la penna la tengono in mano, molti l’hanno scambiata per una vanga e la usano sia per metter ordine nell’orto di casa propria sia per seppellirci cadaveri umani e d’animali. Tuttavia, l’hobby principale di questa sconfinata schiera non è scrivere e nemmeno seppellire, ma lamentarsi per l’indifferenza riservata alle proprie opere: non a caso l’indifferenza ricevuta il più delle volte tocca apici patologici nella mente, la quale non può far proprio a meno di traballare fino a decidersi per il delitto pianificato e pensato. In Italia ci sono più assassini che forze dell’ordine. Quelli che pur volendo diventare degli assassini non ce la fanno perché hanno orrore del sangue e poi il rosso gli ricorda troppo la bandiera comunista, bene, questi falliti non una volta ma due decidono di scrivere thriller. Però chi scrive thriller non può esser considerato uno scrittore a pieno titolo. No davvero. Al massimo un compilatore, un tizio anonimo che poi finisce col riempire pagine e pagine di delitti impossibili che a confronto Charles Manson potrebbe passare per santo: da non dimenticare però che Charlie ha un insano naturale talento e tanto orecchio musicale, anche per la poesia, oltre che per le grida delle sue vittime e per le sfumature di rosso. Nessuno considera la questione del talento? Tutti danno per scontato di possederlo, tant’è che imbastiscono offerte Compri Tre e paghi Due presso le più griffate catene di supermercati e ipermercati. Pertanto, che dovremmo fare noi – ma noi chi? – a questo punto, interrogare forse “Gli arancini di Montalbano”?
Giuseppe Braga, al contrario, ci ride sopra, gliene frega davvero niente: se scrive lo fa per hobby, e purtroppo il risultato è proprio hobbistico. Più che un atteggiamento anticonformista il suo una vera è propria sfida nata inflazionata e portata addosso a quei poveri lettori che, un po’ per amicizia un po’ per suscitata pena, finiscono con il dare una mano a Giuseppe: “Ecco, adesso sarai felice, spero! Il tuo BIP di libro l’ho comprato, ma non mi puoi pure chiedere di leggerlo: piuttosto mi taglio le vene come Silvio Pellico.” Ma Braga se ne infischia e continua a sorridere dei propri tentativi maldestri, degli orgasmi a vuoto e di quelli venuti su come l’urlo di Munch: insomma è un ragazzone tutto d’un pezzo che non soffre d’ansia da prestazione, perché la prestazione non la dà proprio, però raccatta gli scontrini fiscali che trova in strada e sopra ci scrive pensierini di diverso genere. Non si sente nel ruolo della vittima: preferisce di gran lunga scrivere a vuoto, di tutto e di più, per farci capire che l’unico modo per pubblicare è quello di scrivere l’ennesimo libro parzialmente scremato (in brick di cartone) dove si spiegano i motivi per cui tanti scrittori mancati (deceduti e suicidi), esordienti in erba (e in ecstasy), imbrattacarte e talenti nascosti, non ce l’hanno fatta. Per farla breve: quando non riesci a buttar giù un romanzo, ti rimane una sola carta da giocare, quella dello spaccone che impartisce lezioni. Ed ecco così che Giuseppe Braga ci consegna un manuale ottimo per… per niente: non va bene, ci ho provato a metterlo sotto a quel tavolo che c’ho in soggiorno e che ha una gamba più corta delle altre tre, ma “Tu lo conosci Joyce?” non è abbastanza spesso e il mio tavolo continua a traballare. Se un manuale così uno non può neanche adoperarlo per simili piccole necessità casalinghe, io non vedo proprio come potrebbe strappare un sorriso a quattro dentisti e a quattro massaie annoiate – che non ne possono più né dei loro mariti gonfi di birra carie e bestemmie né dei reality show.
Di questo manuale-romanzo la parte più interessante è quella finale: capitolo 8, strettamente personale, dove l’autore va giù di note, di altre note e di ringraziamenti. Ovviamente tra i ringraziati Giulio Mozzi, Ferruccio Parazzoli, Matteo B. Bianchi – che gli ha scritto il risvolto di copertina. La bibliografia (testi e autori citati) è un vero spasso: tre titoli a caso, pescati nel mucchio, ovvero i Demoni (autori: Ferruccio Parazzoli, Giuseppe Genna, Michele Monina), Canti del Caos (Antonio Moresco), Con le peggiori intenzioni (Alessandro Piperno). No, tre non possono bastare: Superwoobinda (Aldo Nove), Perceber (Leonardo Colombati), Generation of Love (Matteo B. Bianchi). Da non sottovalutare poi che un giorno Giuseppe Braga quasi toccò Aldo Nove, ma si parla prima del crollo delle Twin Towers e prima dell’apparizione sulle scene della Lecciso. Forse si era alla Fnac, in una delle tante, dove c’erano anche – così mi par di capire – Tiziano Scarpa e Raul Montanari. Giuseppe Braga ricorda che c’era proprio una gran calca, una cinquantina di persone. Ma: alla Fnac ci sono 50 persone in coda alla cassa, quasi sempre, a qualsiasi ora del giorno. Non c’è bisogno né di Nove né di Scarpa né di Montanari. Basta che le cassiere siano carine quel che basta, difatti quelle un po’ anzianotte le hanno o nascoste o tutte licenziate. Il sospetto è d’obbligo: se questo romanzetto lasciato passare per manuale l’avesse scritto una Lecciso? Mi sa che sarebbe stato molto ma molto meglio. La leggenda vuole che Braga le abbia provate tutte: corsi di scrittura, concorsi letterari, sporadiche pubblicazioni qua e là su rivistine, antologie e raccolte. E non gli sono mancate le porte in faccia, secchi no!, rifiuti categorici, ecc. ecc. Insomma la sua storia è una come tante altre, ma ogni volta che la sento mi commuovo e gli occhi mi si riempiono di lacrime salate più del mare intero. Il povero Giuseppe Braga – pensate Signore e Signori – è sempre “al margine dell’editoria vera, restando costantemente confinato nel limbo dell’esordienza”, come recita Matteo B. Bianchi nel risvolto di copertina per introdurre Braga. Dopo aver letto tutto ciò, vi giuro sul bene che voglio a Leonardo Di Caprio per la sua magnifica interpretazione nel colossal hollywoodiano “Titanic”, che è davvero difficile provare emozioni così (inutili?), per un manuale poi, però – giusto! – spacciato per romanzo. Un romanzo che è peggio d’un catalogo della Standa: c’è dentro così tanta pubblicità che ho rischiato di finire di nuovo sulla cattiva strada, quella di prendere il telecomando in mano e giù di zapping in cerca d’una televendita qualsiasi. Sempre Tiziano Scarpa e Raul Montanari, peggio degli spot targati “Presidenza del Consiglio, Pubblicità progresso”. Dice Matteo B. Bianchi che “Braga non risparmia nessuno”: peccato però che l’autore non riesca a esser costruttivo nei confronti della sua opera, questo “Ma tu lo conosci Joyce?”, un libro che, sinceramente, è uno zibaldone slegato, fotocopia di cliché di chi ce l’ha contro l’editoria e il mondo, tranne poi accarezzargli il pelo, come tentando di toccare l’idolatria da due soldi rappresentata da un Aldo Nove. Chiude Matteo B. Bianchi la sua propaganda per Braga con queste parole: “Da questo amabile ‘dizionario pratico’ saranno in molti a poter apprendere una lezione: chi rincorre il sogno della pubblicazione, perché imparerà a misurare meglio le proprie ambizioni; e chi sta dall’altra parte (autori, insegnanti, critici), affinché si ricordi che fama e autorevolezza talvolta non bastano a salvarsi dal ridicolo.” Giuseppe Braga però non c’è riuscito affatto a salvarsi dal ridicolo, dalla mostruosità della sua scrittura sfilacciata, impacciata, infarcita di luoghi comuni la cui apoteosi di sostanza è uguale a quella d’un castello di carte preso sotto da un violento schiaffo di vento. E ovviamente questa è una recensione che ha un valore di giudizio e non un banale esercizio di scrittura creativa.

Giuseppe Iannozzi

Titolo: Ma tu lo conosci Joyce?
Autore: Giuseppe Braga
Editore: Sironi
Collana: Spore
Data di Pubblicazione: Aprile 2006
Prezzo: € 13.50
ISBN: 8851800634
ISBN-13: 9788851800635
Pagine: 231
Reparto: Narrativa > Narrativa contemporanea

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